Ca’ Brutta

A portare questo poco lusinghiero nome è l’edificio all’interno del quadrilatero formato dalle via Moscova, Turati, Appiani, Cavalieri e Mangili a Milano. Il complesso fu progetto e costruito tra il 1919 e il 1922 e probabilmente il suo nome non è del tutto immeritato; occorre ricordare però che l’edificio anticipa la struttura di tutti i moderni condomini del XX secolo e in un certo senso ha contribuito a una svolta nell’architettura abitativa moderna.

Il gran camposanto

MessinaIn seguito ad una epidemia di colera, nel 1854 veniva bandito un concorso per edificare un cimitero per la città di Messina. I lavori iniziarono nel 1865 in coincidenza con la legge sanitaria relativa alla costruzione dei cimiteri nel Regno d’Italia. Questa legge vietava, per motivi di ordine igienico, la tumulazione nelle chiese ed una distanza del sito di almeno duecento metri dal centro abitato. In seguito alla morte avvenuta nel 1885 dell’architetto Leone Savoia (vincitore del concorso nel 1854) e anche a causa degli eccessivi costi per la realizzazione di un’opera ambiziosa, il cuore monumentale del Gran Camposanto rimase e rimane tutt’ora incompiuto.

Dal punta di vista artistico, l’opera si distingue per la grande diversità di stili presenti nei monumenti funerari: il neoclassico delle prime opere, il neogotico delle tombe dalle bianche guglie (chiesette gotiche in miniatura), le sculture liberty, in bronzo o in marmo. Entrando dall’ingresso principale, si incontrano sia monumenti di personaggi illustri per meriti culturali, scientifici o militari ma anche lapidi per ricordare le vittime del terremoto del 1908. Il Famedio rappresenta il cuore strutturale del Gran Camposanto di Messina. Esso sorge nella sezione centrale del declivio collinare che dall’ingresso principale conduce poi alla parte più alta del cimitero chiamata Cenobio. Da qui si prosegue fino all’imponente Galleria Monumentale la quale, per mancanza di fondi, non fu mai terminata. I sotterranei, scavati lungo l’asse della Galleria Monumentale, si snodano con un lunghissimo percorso ad “L”. Continuando a salire lungo la collina, si arriva alla Spianata, la parte più alta del cimitero. Su di essa sorge la chiesa di stile gotico chiamata Cenobio, inizialmente residenza del Cappellano del cimitero. Il Cenobio, che è circondato da preziosi monumenti di arte funeraria, è considerato un’opera di accademia neogotica di prevalente ispirazione inglese.

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La camera picta

L’unitarietà compositiva e stilistica delle pitture non lascia sospettare che il Mantenga abbia lavorato dal 1465 al 1474 alla decorazione dell’ambiente situato al piano nobile della torre nord-orientale del castello di Mantova. La pittura riveste tutta la stanza trasformando la semplice struttura reale in una diversa finta costruzione architettonica, dove illusionisticamente la volta ribassata si innesta su una serie di pilastri che, poggiando su un piedistallo dipinto che corre tutt’intorno al perimetro della stanza, suddividono ogni parete in tre arcate.
Il Mantegna aveva cominciato con il dipingere la volta suddividendola attraverso costoni diagonali in una serie di lacunari.
La sezione centrale del soffitto è occupata da una balaustra circolare in finto marmo bianco che simula un’apertura sul cielo, dalla quale si sporgono a guardare verso l’interno della stanza due gruppi di donne; un pavone e una schiera di putti stazionano in pose spericolate lungo il balcone. In ognuno dei lacunari entro un medaglione in finto marmo bianco è rappresentato il ritratto dei primi otto imperatori romani, da Giulio Cesare a Ottone, identificati da iscrizioni in lettere maiuscole.

Le sezioni triangolari della base della volta contengono storie di Orfeo, di Arione e di Ercole. Sulle pareti, nella centina di ogni arcata, sono raffigurate entro medaglioni le imprese gonzaghesche. Nel 1470 il Mantenga aveva già affrescato la parete settentrionale, dove è raffigurata la Corte di Ludovico Gonzaga. L’identificazione dei personaggi è ancora oggetto di ipotesi; tuttavia alcuni sono stati riconosciuti con certezza: si tratta del marchese, ritratto a sinistra in veste ‘de nocte’, di sua moglie Barbara di Brandeburgo, delle loro figlie Paola e Barberina.

Lucca nel XIX secolo

LuccaCaduta in mano di Napoleone, re d’Italia nel 1805, Lucca viene affidata a sua sorella Elisa Baciocchi, che regge il Principato con intelligenza e autorità, benvoluta dai lucchesi, fino al 1814, anno della caduta di Napoleone e dell’esilio in Sant’Elena.

La città passa per 3 anni agli austriaci e poi, come Ducato, sotto Maria Luisa di Borbone, per i successivi 7 anni (a lei è dovuta la costruzione dell’acquedotto ideato dell’architetto Nottolini). Suo figlio Carlo Ludovico non ebbe reale interesse nel governo di Lucca, impegnato in viaggi che lo portavano lontano dalla città (ma si deve a lui la ferrovia Lucca-Pisa, realizzata nel 1848): tuttavia Lucca fu fortunatamente retta da validi ministri in sua assenza. Nel 1847 la città passa al Granducato di Toscana e nel 1860 entra infine a far parte del Regno d’Italia.

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Livorno città cosmopolita

Fino al 1737 è la famiglia dei Medici, da Cosimo il Vecchio a Lorenzo il Magnifico, da Cosimo Primo al figlio Francesco, la protagonista indiscussa della storia della città di Livorno. Fu proprio Francesco dei Medici ad impostare la struttura della città dando l’incarico all’architetto Buontalenti che la concepì a pianta pentagonale. In seguito, dopo la morte di Francesco, avvenuta in circostanze oscure, il potere fu assunto da Ferdinando Primo che migliorò l’aspetto urbanistico e a cui soprattutto si deve la “Costituzione Livornina”, che, consentendo grandi incentivi e privilegi ai mercanti di qualsiasi provenienza che si fossero stabiliti ed avessero operato a Livorno, determinò un nucleo di popolazione da cui discendono molti degli abitanti attuali della città.

A Livorno si vennero a creare floride comunità Ebree, che tra l’altro qui non conobbero mai l’umiliazione di un ghetto. In più si diffusero comunità Greche, Armene, Inglesi Francesi, Olandesi, Spagnoli, Portoghesi,Russi, Musulmani e Valdesi. Possiamo tranquillamente sostenere che quando si dice che questa città è cosmopolita, si afferma una verità che ha solide radici nel passato.

Palazzo Centi

Costruito tra il 1747 e il 1755 da don Rocco Chicchi di Pescocostanzo (L’Aquila), l’imponente edificio rappresenta l’apice dell’architettura civile aquilana del ‘700. In stile pienamente barocco, pur con elementi tardo manieristici, l’edificio vanta un grandioso portale sormontato da una balconata articolata su linee curve e sorretta da sei colonne ioniche.

La rinascita di Bussana Vecchia

Clizia, multiforme artista torinese, visitando l’affascinante borgo disabitato di Bussana Vecchia, lanciò nella primavera del 1961 l’idea di una Colonia Internazionale degli Artisti dove pittori, scultori, musicisti, poeti e scrittori potessero vivere dedicandosi al proprio lavoro. Nello stesso anno vennero iniziate le opere di restauro di questo villaggio rimasto disabitato per quasi un secolo, prestando attenzione alla forma delle case, così come il terremoto le aveva lasciate, e inserendo elementi nuovi di architettura caratteristici della cultura degli artisti rilanciando l’intero territorio di Imperia.

Oggi Bussana Vecchia è meta di artisti provenienti da tutto il mondo, che si stabiliscono nel borgo per brevi periodi o in modo definitivo continuando la tradizione di Bussana Vecchia di villaggio internazionale degli artisti.

Gorizia nel 1700

Nel Settecento, considerato il secolo d'oro per Gorizia, la popolazione aumenta fino a ottomila abitanti.
Soprattutto sotto l'imperatrice Maria Teresa la città si abbellisce. L'architetto goriziano Nicolò Pacassi progetta due tra i più begli edifici cittadini: palazzo Attems Santacroce, oggi sede del Municipio, e lo splendido palazzo Attems, sede dei Musei Provinciali. Allo stesso Nicolò Pacassi si deve il palazzo imperiale di Schönbrunn a Vienna. L'Età dei Lumi rappresenta una feconda stagione per le arti e le lettere.
Migliorano le condizioni sociali e nascono i primi circoli culturali, come l'Accademia dei Filomeleti e quella degli Arcadi romano sonziaci. Nascono le prime tipografie, gioielli dell'artigianato locale, di cui si servono per stampare le loro opere il librettista di Mozart, Da Ponte, e Casanova.
Si fa strada una storiografia goriziana che ha in Rodolfo Coronini Cronberg e in Carlo Morelli i suoi protagonisti.
Gorizia fa da cerniera tra gli influssi viennesi e la prepotente influenza artistica veneziana: Giovanni Michele Lichtenreiter e Antonio Paroli sono i maggiori rappresentanti di una scuola pittorica locale che si afferma nel Settecento.
In questo secolo Gorizia assume le caratteristiche di città ricca e attraente.
Carlo Goldoni: "Non vi è provincia in Italia ove vi sia tanta nobiltà come in questa" e Giacomo Casanova: "Mi trattenni a Gorizia fino alla fine del 1773 e durante le sei settimane di quel soggiorno trovai tutti gli svaghi che potevo desiderare…".
A testimonianza di un'epoca di pace e di tolleranza è la costruzione, nel 1756, della Sinagoga ebraica.

Palazzo Doria Tursi

Palazzo Doria Tursi è il più vasto (copre complessivamente un'area di duemila metri quadri) e maestoso edificio di via Garibaldi. Lo commissionò Nicolò Grimaldi: chiamato dai concittadini "il monarca" per la sua ricchezza.

Fu costruito dai fratelli imperiesi Domenico e Giovanni Ponsello fra il 1565 e il 1579; decaduto il Grimaldi nel 1596, il palazzo passò per cinquantamila scudi d'oro a Giovanni Andrea Doria, principe di Melfi e ammiraglio dell'Impero, e successivamente a suo figlio Carlo, duca di Tursi. Nel 1820 venne acquistato dai Savoia, e dal 1848 è proprietà del Comune di Genova.

Il prospetto risulta lungo il triplo rispetto a quelli circostanti; la facciata è rivestita da un alto zoccolo in bugnato e scandita da due ordini sovrapposti di finestre. Le ampie logge laterali, affiancate da balaustre marmoree, furono aggiunte dopo il 1597,  contemporaneamente alla sistemazione dei maestosi giardini retrostanti; agli inizi dell'Ottocento Vittorio Emanuele I di Savoia avviò un restauro interno, affidandone la cura a Carlo Bandoni e G.B. Cervetto, e fece compiere varie modifiche, tra cui  l'aggregazione al palazzo dei resti della chiesa di San Francesco di Castelletto, demolita in quegli stessi anni. Oltre l'atrio, la corte rettangolare, sopraelevata rispetto al portico, ha in fondo lo scenografico scalone a forbice, che dal piano terra sale al loggiato del piano nobile; alla stessa quota, verso nord, un piccolo cortile – preceduto da un residuo del chiostro di San Francesco – collega palazzo Tursi ai volumi gradonati (sormontati da giardini pensili) del nuovo palazzo degli uffici, progettato dall'architetto Franco Albini negli anni '60.
Internamente il salone e due sale attigue furono affrescate nell''800 da Nicolò Barabino e Francesco Gandolfi ("Cristoforo Colombo alla corte di Spagna", 1862); nella Sala della Giunta sono conservati due preziosi cimeli: il violino di Paganini (1742) e l'urna contenente le ceneri di Colombo.

Il duomo di Santa Croce

Il duomo di Santa Croce a Forlì fu costruito sul luogo dove già esisteva un'antica pieve e fu sottoposto nel corso dei secoli a continui rifacimenti e restauri. Per esempio, il portale che oggi è collocato sulla facciata della chiesa del Carmine era il portale principale aggiunto nel Quattrocento alla struttura originaria della chiesa. Nel Seicento fu costruita l'annessa Cappella della Madonna del Fuoco.

Nel 1841 gran parte dell'edificio fu demolita per essere ricostruita sui dettami che venivano allora imposti dallo stile neoclassico. Su progetto dell'architetto Giulio Zambianchi fu portato a termine sulla facciata un gigantesco pronao retto da sei enormi colonne. Nel 1944 i tedeschi in ritirata fecero saltare in aria il campanile che fu ricostruito solo nel 1970, più basso dell'originale. Nell'esplosione e nel crollo vennero danneggiate altre parti della chiesa che sono state recuperate solo dopo ingenti opere di restauro.